Poesie di Majakovskij Vladimir

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  1. zaburay
         
     
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    Majakovskij.


    Vladimir Vladimirovič Majakovskij (in russo: Владимир Владимирович Маяковский[?]; Bagdadi, 7 luglio 1893 – Mosca, 14 aprile 1930) è stato un poeta e drammaturgo sovietico, cantore della rivoluzione d'Ottobre e maggior interprete del nuovo corso intrapreso dalla cultura russa post-rivoluzionaria.
    (fonte Wikipedia - se volete sapere di più http://it.wikipedia.org/wiki/Vladimir_Vlad...%8D_Majakovskij )


    (Ci tengo a postare All'amato me stesso, letto dal grande Carmelo bene - www.youtube.com/watch?v=V2g9KPbjlmc )

    Alle insegne (1913)

    Leggete libri di ferro!

    Sotto il flauto d'una lettera indorata

    si arrampicheranno marene affumicate

    e navoni dai riccioli d'oro.

    E se con allegra cagnara

    turbineranno le stelle <<maggi>>,

    anche l'ufficio di pompe funebri

    moverà i propri sarcofaghi.

    Quando poi, tetra e lamentevole,

    spegnerà i segnali dei lampioni,

    innamoratevi sotto il cielo delle bettole

    dei papaveri sui bricchi di maiolica.


    (Il poeta è un operaio)

    Gridano al poeta:
    "Davanti a un tornio ti vorremmo vedere!
    Cosa sono i versi? Parole inutili!
    Certo che per lavorare fai il sordo".
    A noi, forse, il lavoro
    più d'ogni altra occupazione sta a cuore.
    Sono anch'io una fabbrica.
    E se mi mancano le ciminiere,
    forse, senza di esse,
    ci vuole ancor più coraggio.
    Lo so: voi non amate le frasi oziose.
    Quando tagliate del legno, è per farne dei ciocchi.
    E noi, non siamo forse degli ebanisti?
    Il legno delle teste dure noi intagliamo.
    Certo, la pesca è cosa rispettabile.
    Tirare le reti, e nelle reti storioni, forse!
    Ma il lavoro del poeta non è da meno:
    è pesca d'uomini, non di pesci.
    Fatica enorme è bruciare agli altiforni,
    temprare i metalli sibilanti.
    Ma chi oserà chiamarci pigri?
    Noi limiamo i cervelli
    con la nostra lingua affilata.
    Chi è superiore: il poeta o il tecnico
    che porta gli uomini a vantaggi pratici?
    Sono uguali. I cuori sono anche motori.
    L'anima è un'abile forza motrice.
    Siamo uguali. Compagni d'una massa operaia.
    Proletari di corpo e di spirito.
    Soltanto uniti abbelliremo l'universo,
    l'avvieremo a tempo di marcia.
    Contro la marea di parole innalziamo una diga.
    All'opera! Al lavoro nuovo e vivo!
    E gli oziosi oratori, al mulino!Ai mugnai!
    Che l'acqua dei loro discorsi
    faccia girare le macine.


    (La nostra marcia)
    Battete sulle piazze il calpestio delle rivolte!
    In alto, catena di teste superbe!
    Con la piena del secondo diluvio
    laveremo le città dei mondi.
    Il toro dei giorni è screziato.
    Lento è il carro degli anni.
    La corsa il nostro dio.
    Il cuore il nostro tamburo.
    Che c'è di più divino del nostro oro?
    Ci pungerà la vespa d'un proiettile?
    Nostra arma sono le nostre canzoni.
    Nostro oro sono le voci squillanti.
    Prato, distenditi verde,
    tappezza il fondo dei giorni.
    Arcobaleno, dà un arco
    ai veloci corsieri degli anni.
    Vedete, il cielo ha noia delle stelle!
    Da soli intessiamo i nostri canti.
    E tu, Orsa maggiore, pretendi
    che vivi ci assumano in cielo!
    Canta! Bevi le gioie!
    Primavera ricolma le vene.
    Cuore, rulla come tamburo!
    Il nostro petto è rame di timballi.


    Dietro una donna (1913)

    Spostato su col gomito un lievito di nebbia,

    Colava biacca da una fiasca nera

    E a briglia sciolta nel cielo

    Canuto e greve caracollava fra le nuvole.

    Nel fuso rame di case stagnate

    A stento si contengono i tremiti delle vie,

    Stuzzicati da un rosso mantello di lussuria,

    I fumi diramavano le corna dentro il cielo.

    Cosce -vulcani sotto il ghiaccio delle vesti,

    Messi di seni mature già per il raccolto.

    Dai marciapiedi con ammicchi malandrini

    Frecce spuntate insorsero gelose.

    Stormo che a un colpo di tacco si levi a volo nel cielo

    Preghiere di altezze presero al laccio Iddio:

    Con sorrisi da topi lo spennarono

    E beffarde lo trassero per la fessura d'una soglia.

    L'Oriente in un vicolo le scorse,

    Più in alto risospinse la smorfia del cielo

    E il sole dalla nera borsa strappato fuori

    Pestò con cattiveria le costole del tetto.


    (Versi Sul Passaporto Sovietico)

    Io come un lupo
    divorerei
    il burocratismo.
    Per i mandati
    non ho alcun rispetto.
    Vadano
    con le madri
    a tutti i diavoli
    tutte le carte.
    Ma questo...
    per il lungo fronte
    di scompartimenti
    e cabine
    un funzionario
    cortese
    s'avanza.
    Porgono i passaporti
    ed io
    consegno
    il mio
    libriccino purpureo.
    Per certi passaporti
    ha un sorriso alla bocca.
    Per altri
    un contegno sprezzante.
    Con rispetto
    prende
    i passaporti
    con il leone inglese
    a due piazze.
    Mangiandosi
    con gli occhi il bravo zio,
    senza cessare
    d'inchinarsi,
    prende,
    come prendesse una mancia,
    il passaporto
    d'un Americano.
    Su quello polacco
    appunta lo sguardo
    come una capra dinanzi a un affisso.
    Su quello polacco
    spalanca gli occhi
    con poliziesca
    ottusità d'elefante:
    di dove, perbacco,
    e che sono queste
    innovazioni geografiche?
    E senza volgere
    la palla della testa,
    senza provare
    sentimento
    alcuno,
    egli prende,
    senza batter ciglio,
    i passaporti dei Danesi
    e di diversi
    altri Svedesi.
    E a un tratto
    la sua bocca si contorce
    come per una scottatura.
    Il signor funzionario
    infatti
    prende
    il mio
    passaporto dalla pelle rossa.
    Lo prende
    come una bomba,
    lo prende
    come un riccio,
    come un rasoio
    a due tagli,
    lo prende
    come un serpente
    a sonagli,
    lungo due metri,
    con venti lingue.
    Ammicca
    in modo espressivo
    il facchino,
    pronto
    a portarvi i bagagli per niente.
    Il gendarme
    scruta
    il poliziotto,
    il poliziotto
    il gendarme.
    Con quale voluttà,
    dalla casta gendarmesca
    io sarei
    fustigato e crocifisso
    perchè
    ho fra le mani,
    con falce
    e martello,
    il passaporto sovietico.
    Io come un lupo
    divorerei
    il burocratismo.
    Per i mandati
    non ho alcun rispetto.
    Vadano
    con le madri
    a tutti i diavoli
    tutte le carte.
    Ma questo...
    Io
    lo traggo
    dalle larghe brache,
    duplicato
    d'un peso inestimabile.
    Leggete,
    invidiate,
    io
    sono cittadino
    dell'Unione Sovietica.

    [1929]
     
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